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Non è un mestiere per donne #1

La prima intervista del progetto "Non è un mestiere per donne" con Emanuela Bratos, Direttrice generale ZKB Trieste Gorizia

Non è un mestiere per donne


Il progetto “Non è un mestiere per donne” nasce nel contesto intrapreso dalla ZKB Trieste Gorizia per la Certificazione per la Parità di Genere, riconoscimento che la banca ha conseguito alla fine del 2024.
Questa iniziativa si porge l’obiettivo di dare voce, visibilità e forza alle donne che, con coraggio, competenza e determinazione, sono riuscite ad affermarsi in ruoli di leadership in settori ancora oggi sono percepiti come “non femminili”.

In un contesto in cui le disuguaglianze di genere persistono e in cui molte donne faticano a immaginarsi in posizioni di responsabilità, vogliamo proporre modelli reali, positivi e ispiranti. Lo faremo attraverso una serie di interviste a donne del nostro territorio che hanno raggiunto traguardi importanti. Le loro storie autentiche vogliono lanciare un messaggio chiaro: non è un obiettivo irraggiungibile, si può fare.

Il progetto non si rivolge solo alle donne, ma anche agli uomini, affinché cresca una consapevolezza condivisa sull’importanza dell’equità di genere e sul valore della diversità nei luoghi di lavoro.
Abbiamo scelto di inaugurare questa serie con l’intervista alla Direttrice generale della nostra banca, Emanuela Bratos, che oltre ad essere stata la prima direttrice donna del nostro istituto, è stata anche la prima donna al vertice di una banca all’interno del Gruppo Cassa Centrale.

 

La direttrice generale della ZKB Trieste Gorizia, Emanuela Bratos, appare fin da subito decisa e al contempo genuinamente cordiale, caratteristica tipica di quelle persone che sono consapevoli del valore di ogni singolo individuo per il successo dell'insieme. A metà mattina ci accoglie nel suo ufficio con un sorriso. Alla sua sinistra, sopra il computer, una grande opera d'arte di Bogdan Grom, alla sua destra un'ampia finestra che si affaccia sul giardino lussureggiante di verde primaverile. L’ufficio arredato con gusto e i fiori scelti con cura fanno subito pensare all’ufficio di un direttore donna - ecco che già si insinua nella mente il primo bias sociale legato al mondo femminile. Forse si nota fin da subito che si tratta dell’ufficio di una direttrice donna. E anche se così fosse?

 

Emanuela Bratos, la sua storia in questo istituto bancario inizia nel 1990, quando comincia a lavorare ... come segretaria.
Esatto. Dopo un concorso che avevo superato presso l'allora Cassa Rurale ed Artigiana di Opicina, sono entrata per la prima volta in banca e sono stata assegnata alla Segreteria della direzione.
Sono rimasta in Segreteria per alcuni anni, poi la mia carriera è proseguita nell’Ufficio Finanza e Investimenti. Subito dopo ho iniziato a occuparmi di credito, il che ha segnato tutta la mia carriera lavorativa. È l'area in cui ho trascorso la maggior parte della mia carriera e che ho approfondito molto. Ho lavorato per alcuni anni anche nelle filiali, quindi nella rete commerciale, sempre con un ruolo di responsabilità, per poi assumere la direzione dell'allora Area territoriale di Muggia, Domio e Dolina.  Nel 2012, subito dopo la crisi finanziaria, il direttore generale mi ha offerto di gestire l’Ufficio crediti problematici. È stato il momento più importante della mia carriera, perché la banca fino ad allora non disponeva di questo servizio, è stato un lavoro pionieristico. Da lì sono stata promossa a capo dell’Area Crediti, all'interno della quale c'erano, come tutt’ora, due Uffici, l’Ufficio Concessione Crediti e il Servizio NPL.

 

 
Cosa sognava quando è entrata in questo istituto bancario?
All'epoca i miei obiettivi erano molto diversi. Non mi aspettavo e non avevo il desiderio di lavorare in banca. Ma l'allora Cassa Rurale ed Artigiana di Opicina organizzò un concorso. Ricordo che eravamo un’ottantina e a casa mi hanno convinto che era giusto partecipare, perché la nostra banca locale stava assumendo. Ho seguito il consiglio dei miei genitori e la banca mi assunse quasi subito. Arrivai seconda, il primo classificato rinunciò al posto, e così iniziai a lavorare in banca ancora molto giovane.

 


E come si è trovata nel ruolo di segretaria?
Diciamo che non ero molto entusiasta del lavoro e cominciai presto a desiderare un ruolo di maggiore responsabilità, più vicino al classico lavoro in banca, ecco.

 


La banca è di genere femminile, ma il lavoro in banca viene forse ancora percepito come un lavoro maschile.
Esattamente. Se consideriamo che la nostra banca ha assunto per la prima volta una donna nel 1979 ed è stata fondata nel 1908. Ancora oggi il sistema bancario e l'attività bancaria sono caratterizzati da una spiccata presenza maschile, soprattutto nei ruoli apicali. Mentre le donne sono relegate a ruoli non dirigenziali. 

 


Quanto ha influito sulla sua carriera il suo far parte di una comunità, quella degli sloveni in Italia, e l’ambiente minoritario, nel quale ci sono forse meno candidati e quindi si dà meno peso al fatto che un candidato sia uomo o donna?
Nel mio caso, credo che sia stato fondamentale il lavoro svolto insieme ai miei colleghi in quel momento cruciale, di crisi generale, seguito da un periodo difficile della banca stessa. Scelsi di mettermi in gioco e contribuire a fare ciò che era necessario, invece di rinunciare, cosa che avrei potuto fare con estrema facilità. Quello fu un momento cruciale perché sono riuscita a dimostrare, anche a me stessa, in uno dei periodi più bui del nostro Istituto, che con dedizione e determinazione era possibile trovare una via d'uscita. 
Per quanto riguarda l'ambiente sloveno in Italia, vorrei sottolineare che le procedure di nomina nella nostra banca sono esattamente le stesse come in tutte le altre: la mia nomina a direttrice generale è stata approvata della direzione del Gruppo Cassa Centrale e poi dalla Banca Centrale Europea. E questo per due volte: per il contratto a tempo determinato e per quello a tempo indeterminato. Non si tratta di una semplice formalità.

 


La società però continua a credere che siano gli uomini a essere leader migliori.
L’ho sentito dire più volte. Ad esempio, che “non è appropriato che una banca abbia una donna al vertice”. È evidente che non sono d’accordo. Ho sempre creduto che le qualità individuali contino più del genere. Nei periodi più difficili, emergono tratti personali e caratteriali che vanno oltre la formazione o l’esperienza: elementi fondamentali per affrontare e superare la crisi. Penso, per esempio, al coraggio, una qualità che spesso non viene riconosciuta alle donne — eppure io sono convinta del contrario. Le donne, per natura, si assumono compiti e responsabilità che richiedono grande coraggio. Nel mio caso è stato decisivo. Durante un momento difficile per la banca, molti esitavano di fronte alla responsabilità; io ho scelto di fare un passo avanti. Sono uscita dalla mia zona di comfort e affrontato le difficoltà, anche a costo di notti insonni.

 

E’ stata nominata vicedirettrice e poi, nel 2019, a 111 anni dalla fondazione della Banca, direttrice generale.
Proprio così. A questo periodo è seguita la fusione con la Banca di credito cooperativo di Doberdò e Savogna d’ Isonzo - un momento molto importante per lo sviluppo del nostro istituto bancario.
Come responsabile dell’Area Crediti mantenevo comunque stretto contatto con la Direzione, essendo l’attività creditizia di fondamentale importanza. Ho assunto la carica di vicedirettrice solo un anno prima di essere nominata direttrice generale, nel luglio 2018. La mia esperienza nella governance della banca è stata quindi relativamente breve. Se mi confronto con i colleghi di altri istituti, che ricoprono questo ruolo in alcuni casi per diversi anni, fino al momento di assumere la carica di direttore generale, il mio percorso è stato molto veloce rispetto al loro.

 


È stato anche il momento in cui la ZKB Trieste Gorizia è entrata a far parte del Gruppo Cassa Centrale Banca. Lei è stata la prima direttrice di questo Gruppo.
Sì, il nostro Gruppo bancario è stato costituito all'inizio del 2019 e la mia nomina è avvenuta nell'agosto dello stesso anno. Quindi il mio percorso in questo ruolo è iniziato proprio con la nascita del Gruppo Cassa Centrale.

 


E come è stata accolta?
Come ho detto, la mia nomina doveva essere approvata prima dal Gruppo Cassa Centrale. Ricordo che nei primi giorni della mia nomina mi trovavo a Bologna per un meeting e, di fronte a una platea formata da tutta la dirigenza delle banche del nostro Gruppo, credo fossero più di 100 all'epoca, il Presidente, Giorgio Fracalossi, mi chiese di alzarmi e mi presentò alla sala, e disse con orgoglio che anche il Gruppo Cassa Centrale aveva la sua prima Direttrice donna. È un momento che ricordo con grande piacere.
Anche se non era il suo sogno, nel 2019 si è avverato il sogno di ogni genitore del secolo scorso: che il proprio figlio fosse un direttore di banca sposato con un'artista.

 

A casa vostra è un po' diverso, vero?
Ride. Esattamente, a casa mia è il contrario. Il mio desiderio era di esercitare una libera professione, poi la vita mi ha portato a fare altre scelte. Naturalmente, oggi sono molto soddisfatta del mio percorso di vita.

 

Se possiamo svelarlo, lei è sposata con un musicista, tra l'altro di grande successo. I vostri ruoli sono invertiti rispetto a quello che la società si aspetterebbe, forse anche oggi?
Si, anche oggi. Proprio questa differenza, lavorare in due settori che non hanno quasi nulla in comune, si è spesso rivelata una salvezza, soprattutto nei momenti più difficili. L’ambiente familiare mi proietta in una realtà totalmente diversa rispetto a quella lavorativa. Se a casa respirassi la stessa aria e la stessa atmosfera che respiro al lavoro, avrei bisogno di molto più tempo per rilassarmi. A casa entro in una dimensione completamente diversa. Negli anni mi sono convinta che proprio questo equilibrio è la chiave della serenità. Può sembrare inusuale, ma è proprio questa diversità a rendere tutto più completo.

 

Lei è anche madre. Il momento della maternità - si potrebbe dire che è il momento in cui una donna si chiede dove è arrivata e dove vuole andare, è stato in qualche modo un punto di svolta?
La maternità è stato il momento più intenso e gratificante della mia vita e mi ha cambiata molto.  Credo che questo valga per ogni donna. Ammetto che non mi sono mai trovata di fronte alla decisione di dover scegliere tra famiglia e lavoro. Non mi sono mai posta questa domanda. Forse perché non ho mai avuto ostacoli in famiglia. In famiglia hanno sempre rispettato il mio lavoro e le mie scelte. Quando mia figlia era molto piccola ho lavorato part-time per un periodo prolungato, perché in quel momento era importante per me passare più tempo possibile con lei. Ma non ho mai creduto che il tempo, fosse l’aspetto più importante. Ho sempre creduto che sia importante la qualità del tempo e, in particolare, l'esempio che una madre e un padre possono dare ai propri figli. Credo fermamente che gli esempi valgano più delle parole. 

 

Quindi è diventata un esempio per sua figlia – e forse non solo per lei.
Dovrebbe chiederlo a lei. Ride. Quello che mi guida ogni giorno – e su cui continuo a lavorare – è il desiderio di essere, se non proprio un esempio, almeno un’ispirazione o un incoraggiamento per le donne che lavorano. Penso soprattutto alle mie colleghe, alle donne della ZKB, ma anche a tutte quelle che si trovano in difficoltà, che si domandano se ce la faranno, o che a casa non trovano il sostegno che io ho avuto la fortuna di ricevere. Mi piacerebbe che una donna, ascoltando la mia storia, possa pensare: "Se qualcun’altra ce l’ha fatta, allora forse posso farcela anch’io." Per questo, oltre al senso di responsabilità legato al mio ruolo, sento di portare una responsabilità anche nei confronti delle donne che lavorano: perché potrebbe essere un esempio per qualcun’altra.  

 


È d'accordo con l’idea che, a volte, siano proprio le donne a rappresentare un ostacolo per le altre donne nel mondo del lavoro?
Credo che, più che per le altre, ogni donna rappresenti spesso un ostacolo per sé stessa.

 


Perché?
Perché è facile rifugiarsi dietro a scuse o giustificazioni. Nella mia esperienz ho notato che molte donne, quando devono assentarsi per un’ora o due, si sentono in dovere di spiegare il motivo: “Devo andare a prendere mio figlio alla scuola materna”, “Ho una visita medica”, “C’è la recita a scuola”… Insomma, legano sempre la loro assenza a motivi familiari. Gli uomini, invece, non si sentono obbligati a fornire spiegazioni, anche se fanno le stesse cose. Questo atteggiamento rafforza l’idea che le responsabilità familiari siano soprattutto femminili, e contribuisce alla percezione che le donne siano meno disponibili o adatte a ruoli di leadership o responsabilità. Per fortuna, qualcosa sta cambiando: oggi molti padri partecipano attivamente alla vita familiare. Ma anche le donne devono imparare a condividere i compiti e a non sentirsi sempre le uniche responsabili. Detto ciò, è innegabile che la piena parità sia ancora lontana. Ho letto che ci vorranno ancora 130 anni per colmare il divario.

 


Forse è vero che le donne stesse ostacolano l'avanzamento delle altre donne sul posto di lavoro. Oggi una donna deve impegnarsi molto di più di un uomo per raggiungere una certa posizione. Per questo motivo, immagino che, nel subconscio di alcune donne si è radicata l'idea che debba essere così per ogni donna. Ma non lo ritengo né giusto né corretto.

 

Da quando è direttrice, quante volte le è stato chiesto dov’è il direttore, quante volte è stata l'unica donna in una sala riunioni di soli uomini?
Mi è capitato più volte di essere l’unica donna presente in una sala riunioni con varie decine di partecipanti. Già prima di ricoprire questa posizione, come responsabile dell’Area crediti e poi come vicedirettrice, mi succedeva di essere l’unica donna, oppure c’era al massimo qualche altra collega. È stato in quei momenti che ho iniziato a riflettere su questa particolarità, a percepirla. Che qualcuno mi chieda se devono chiamarmi "direttrice" o "direttore", succede molto spesso.

 

Cosa preferisce?
Sempre il femminile. 


La direzione della ZKB Trieste Gorizia è composta, oltre che da lei, da due vicedirettori.
Sì, è così. Oggi ho due vicedirettori, con cui lavoriamo molto bene, e sono convinta che questo sia un grande valore aggiunto per il nostro Istituto: riuscire a conciliare, ai vertici, il punto di vista femminile e quello maschile, che sono ovviamente diversi, ma permettono di prendere decisioni sicuramente migliori e più complete.

 


Qual è la domanda più stupida che le hanno fatto da quando è Direttrice?
Subito dopo la mia nomina, un collega mi ha chiesto come l'avesse presa mio marito e se ne fosse contento.

 

E come l'ha presa?
Molto bene, mi ha sempre supportata.


Abbiamo già parlato dei pregiudizi che spesso le donne nutrono verso sé stesse. Le è mai capitato di dubitare delle sue capacità nel ricoprire questo ruolo?
Ogni giorno. Anche oggi. Ride. Credo sia un'esperienza molto comune tra le donne. La società non è ancora del tutto pronta ad accettare modelli di leadership diversi da quelli tradizionali - maschili. Dopo millenni in cui il potere è stato prevalentemente nelle mani degli uomini, siamo ancora abituati a uno stile di guida tipicamente maschile. Ma esiste un altro approccio, più inclusivo e profondamente femminile. Un modo di dirigere basato sull’ascolto, sulla riflessione, sulla partecipazione e condivisione. Un tipo di leadership che coinvolge gli altri nel processo decisionale e tiene conto di una pluralità di prospettive. Credo che questo sia un approccio più sano e completo, ma purtroppo è ancora poco diffuso. Questa mancanza di modelli di riferimento confonde anche noi donne, al punto da farci dubitare se il nostro modo sia davvero quello giusto. È fondamentale che ci siano più donne in posizioni di leadership e che si sentano libere di sviluppare uno stile proprio – diverso, ma non per questo meno efficace. Per me, la svolta è arrivata quando ho iniziato a riconoscere il mio vero valore.

 


Forse non ha mai sognato di diventare direttrice generale in passato, ma cosa sogna oggi da direttrice generale?
Forse... più creatività. In particolare, penso all’arte. Sono molto attratta dall'arte, anche se non mi ritengo un’esperta. L'arte suscita emozioni, quella componente irrazionale che a volte dimentichiamo e, soprattutto, dimentichiamo quanto sia importante. L’arte ci insegna a guardare il mondo da prospettive diverse, a sentire prima ancora di capire. E credo che, soprattutto oggi, ne abbiamo molto bisogno.

 

Che consiglio darebbe a una giovane donna che vuole intraprendere una carriera come la sua?
Di credere in sé stessa e di affrontare ogni scelta con coraggio. Guardando al mio percorso, mi accorgo che i momenti davvero decisivi sono stati quelli in cui ho avuto il coraggio di osare. Credo che questo valga per tutti, non solo per le donne. Nella vita ci troviamo più volte davanti a scelte importanti – alcune grandi, altre più piccole – e ogni volta possiamo scegliere tra la strada più facile, più sicura, oppure quella che richiede impegno, nuove competenze, e voglia di mettersi in gioco. Per scegliere quest’ultima ci vuole coraggio, ma apre le porte al cambiamento. Vedo spesso donne, comprese alcune mie colleghe, che scelgono di rimanere dove sono. È umano e comprensibile. Ma penso che per noi donne oggi il coraggio è ancora più importante. Perché ogni passo in avanti che una donna compie crea nuove possibilità anche per le altre.

 

Autrice: Valentina Oblak

 

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